Gianni Bertini nasce a Pisa il 31 agosto 1922, dove nella casa paterna di Porta a Piagge, trascorre la giovinezza che lui stesso ricorda felice e spensierata, durante la quale, oltre a dilettarsi con i colori e ad apprendere le prime nozioni di pittura, completa gli studi con una laurea in matematica pura.
Al caffè Barzel, punto di riferimento dei giovani intellettuali pisani, fraternizza con alcuni studenti universitari: Franco Russoli, promessa della critica d’arte; Emilio Tolaini, giovane pittore; i fratelli Paolo e Vittorio Taviani.
Gianni Bertini esordisce come pittore nel 1946 in una galleria cittadina nella quale espone quadri figurativi collocabili tra l’espressionismo e il post-cubismo e a cui fa seguito, l’anno successivo, la partecipazione al Premio Pisa, dove ottiene il suo primo riconoscimento ufficiale.
L’incontro con Seb Timpanaro, nuovo direttore della Domus Galileiana, e il durevole rapporto d’amicizia che ne deriva, coincidono con l’abbandono, da parte di Bertini, della figurazione espressionistica e con il conseguente passaggio alla pittura astratta.
L’ansia di evadere dal ristretto ambiente provinciale, la necessità d’un ampio spazio creativo e il bisogno d’incontrarsi con le stelle nascenti della nuova generazione artistica lo portano, sempre più spesso, lontano da Pisa. A Livorno con Mario Nigro e Nando Chevrier promuove dibattiti sugli sviluppi dell’arte. A Firenze con Lardera, Nativi, Berti e Monnini organizza manifestazioni d’avanguardia. A Roma con Turcato, Perilli, Guerrini, Corpora e Consagra, “eretici” firmatari del manifesto “Forma 1”, partecipa alle accese discussioni che si svolgono al caffè Rosati.
Nel 1949 viene inaugurata, alla galleria La Strozzina di Firenze, l’esposizione internazionale “Arte d’Oggi”. In questa importante mostra, alla quale partecipano fra gli altri Afro, Cagli, Fontana, Morlotti, Munari, Soldati e Veronesi accanto a Deyrolle, Messagier, Mortensen, Poliakoff e Vasarely, Bertini espone le opere del suo primo ciclo, i Gridi, facendo uso di lettere stampigliate e cifre. Questi straordinari lavori, non ascrivibili ad alcuna tendenza estetica del momento e che riportano, in una dinamica ideazione compositiva, lettere e numeri stampigliati, punti cardinali e simboli della segnaletica, anticipano inconfutabilmente i motivi stilistici che, dieci anni dopo, caratterizzeranno artisti della pop-art americana quali Robert Indiana, Jasper Johns e Robert Rauschenberg.
Dopo un breve soggiorno a Roma, e l’incontro con Gillo Dorfles e con l’architetto Gianni Monnet, ambedue esponenti del M.A.C. (Movimento Arte Concreta), Bertini si unisce al gruppo concretista e nel 1950, dopo una mostra alla libreria Salto, si trasferisce a Milano. Con Crippa, Dova1950_ritratto, Fontana, Soldati, Vedova e gli artisti del M.A.C. espone alla Galleria del Naviglio.
Debutta alla XXV Biennale di Venezia e collabora, con cronache e testi teorici, alla rivista “Numero”, edita a Firenze da Fiamma Vigo.
In questo anno realizza opere di aspetto prevalentemente grafico, formate da giustapposizioni di elementi contrastanti: positivo-negativo, bianco-nero, punto-linea che lo portano ad indagare il mondo della linea e dello spazio, e ad approfondire l’aspetto meccanico che anima le sue Composizione e Scomposizioni.
Nel 1951 viene invitato a due mostre dedicate all’arte astratta in Italia: Arte astratta e concreta alla Galleria d’Arte moderna di Roma e Panorama dell’arte astratta in Italia dal 1915 al 1951, ciclo di mostre curate da Guido Le Noci alla Galleria Bompiani di Milano.
Bertini sviluppa la propria ricerca in direzione di una maggiore e più immediata libertà espressiva volgendo il proprio interesse verso quelle emozioni visive suscitate dalle tensioni primarie della realtà caotica e magmatica ed espresse attraverso il segno-gesto, il “dripping” e le macchie materiche.
Espone alla Galleria del Cavallino di Venezia opere del periodo precedente, e, accolto da Carlo Cardazzo, soggiorna nella città lagunare. Incontra Tancredi con il quale trascorre lunghe notti discutendo d’arte e verificando gli stimoli ricevuti dai due grandi “maestri” Jackson Pollock e Max Ernst, che con i suoi frottage stimola maggiormente Bertini.
Dall’esperienza veneziana nascono le opere presentate nell’ottobre del 1951 alla galleria Numero di Firenze. In questa memorabile circostanza, Bertini espone un manifesto in cui esprime la sua esigenza di voler comunicare quelle emozioni visive su quei fatti cosmici, siderei, scientifici o meccanici che, a suo parere, sono il fulcro essenziale del nostro tempo.
Alcuni giorni dopo, a Milano, Gianni Dova inaugura una mostra personale alla Galleria del Milione presentando i suoi primi quadri “tachistes”.
Questo storico autunno del 1951, che non a caso si inserisce, mentre divampa la guerra in Corea, nel momento del più forsennato e criminale sperimentalismo atomico, annuncia l’inizio della stagione italiana dell’arte informale. Alle mostre di Bertini e Dova segue quella di Enrico Baj e Sergio Dangelo che unitamente espongono, alla Galleria del Centro Culturale San Fedele di Milano, opere definite per la prima volta nucleari. Con questi artisti, Gianni Bertini esporrà in più occasioni e firmerà il “Manifesto contro lo stile”.
Nell’ottobre del 1951 l’artista irrequieto decide di trasferirsi nella città che per quasi un secolo è stata la terra promessa degli artisti: Parigi.
In un clima bohèmien, senza casa né studio, realizza le opere in ogni luogo possibile, sia al chiuso che all’aperto, finché lo scultore Sergio Signori non lo ospita nel proprio atelier.
“Rendez-vous de l’élite intellectuelle” reca scritto lo scontrino di cassa del Café de Flore, noto ritrovo di poeti, critici, filosofi, cineasti. Ma Bertini preferisce frequentare luoghi a lui più congeniali, lungo la Senna, come la Brasserie Victor al Bld des Battignoles, dove Michel Seuphor riceve ogni mercoledì una brigata di amici tra cui i più assidui sono Corneille, Gillet e Sugai: il Cafè Le Royal, animato da Edouard Jaguer e dai membri del Gruppo Phases; il Bar Vert di Montparnasse, dove ogni lunedì Roger Van Gindertael intrattiene una ristretta cerchia di fedelissimi che comprende, fra gli altri, Hartung, Schneider, Giglioli, Dumitriescu e Huguette Bertrand. Nello studio del pittore Atlan conosce Michel Ragon, giovane critico e futuro collaboratore della rivista “Cimaise” che lo presenta alla Galerie Arnaud. In questa galleria Bertini inaugura la sua prima personale francese.
Charles Estiènne scrittore e geniale animatore di Saint-Germain-des-Près, promuove il “Premier Salon d’Octobre” con lo scopo di raggruppare pittori non oggettivi di tendenze non geometriche e Bertini viene invitato. Nel 1954, Claude Bellegarde gli presenta un giovane burocrate ministeriale che dedica il tempo libero alla critica d’arte e alla poesia: Pierre Restany. Nasce tra i due un rapporto di profonda amicizia e di comunione intellettuale; sarà l’artista toscano, allorché diverrà collaboratore della rivista di Adriano Parisot “Quattro Soli”, a pubblicare il primo articolo critico del futuro teorico del Nouveau Réalisme.
In una piccola camera in rue de Cherche Midi, procurata da Jean-Robert Arnaud, Bertini può finalmente vivere e lavorare, malgrado l’esiguità dello spazio che lo costringe, dipingendo, ad aprire la porta onde poter osservare, per giusta distanza, le tele dal fondo del corridoio. Ciò spiega alcune prospettive particolari e gli scorci insoliti delle opere di questo periodo.
Dopo la sua terza mostra alla galleria Arnaud, è invitato per la prima volta nel 1954 al “Salon de Mai” (dove espone regolarmente fino al 1963, anno in cui insorge con il manifesto Bonsoir le Salon de Mai per contestarne la ormai avvenuta decadenza) e subito dopo, allestisce una personale al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles.
Il titolo irriverente dato da Bertini a quest’ultima esposizione “Tartes aux mirlitons” (torte in faccia), provoca il risentimento di van Gindertael; la rottura dei rapporti fra i due amici è immediata e comporta anche la separazione dalla Galerie Arnaud.
Ottiene un nuovo contratto da René Drouin, il gallerista che ha lanciato Wols, Fautrier e Dubuffet.
Partecipa con Campigli, Gregori, Magnelli, Music e Severini alla mostra Six peintres italiens de Paris nel Museo di Stato del Granducato di Lussemburgo, dove riscuote un notevole successo poiché tutte le sue opere vengono acquistate.
L’intensa collaborazione con Edouard Jaguer e il Gruppo Phases si conclude bruscamente, che accusano Bertini di essersi scostato dalla linea di condotta del gruppo. Una mostra da Kamer coincide con la pubblicazione, a cura di Restany, di un testo fondamentale sull’arte di Bertini. Il volume fa parte di un’imponente collana di monografie, “Peinture actuelle”, dedicata ad artisti che vanno oltre l’informale fra cui Hundertwasser, Bellegarde e Yves Klein.
Dopo la partecipazione alla XXIX Biennale di Venezia, si dedica con sempre maggior impegno all’edizione di libri illustrati. Nel 1959 sposa Licia e si trasferisce in un appartamento di rue de Château d’Eau che, trasformato in abitazione-studio, è stato la lungo la sua residenza parigina.
Con il ciclo informale degli “Espaces imaginaires”, composta fra il 1953 e il 1960, il visionario artista valica, con esaltante potenza segnica e cromatica, i confini fantastici della spazialità interiore. I quadri di questo periodo, che nella nostalgica allusione dei titoli evocano ricordi di lontane poetiche, ci offrono inquietanti orizzonti che avvolgono assurdi labirinti meccanici. L’intensa attività di questo periodo è propiziata da un crescendo incondizionato di riconoscimenti al più alto livello internazionale: città di quattro continenti ospitano le sue esposizioni; le sue opere sono presenti in prestigiose collezioni museali europee e americane; Restany, Ballo, Jaguer, Russoli, Dorfles, Seuphor, de Mardiargues, Ragon e Sauvage sono alcuni tra i numerosi poeti e scrittori che recensiscono e storicizzano la sua ricerca. Compie numerosi viaggi in Europa esponendo con personali a Bruxelles, Copenhagen, Schiedam, Amsterdam.
Un lungo soggiorno negli Stati Uniti gli offre l’opportunità di iniziare un interessante e durevole rapporto di lavoro con la Grès Gallery di Chicago. A New York frequenta l’ambiente di artistico e conosce i galleristi Sidney Janis e Leo Castelli. Ad un vernissage incontra Franz Kline che lo invita nel suo studio. La profonda amicizia nata da quest’occasionale incontro rappresenta per Bertini l’evento più importante del suo soggiorno americano.
Tornato a Parigi nel clima del nascente “Nouveau Réalisme”, di cui l’amico Restany è creatore, l’artista, pur condividendo i principi fondamentali del movimento, non è d’accordo con la norma che impone agli artisti l’anonimato sulle proprie opere, che li ridurrebbe, secondo la felice espressione di Raymond Hains, a “pure astrazioni personificate”. Per questo motivo, rifiuta di sottoscrivere il manifesto programmatico. Nel 1961 è accolta in Svezia – dove l’artista soggiorna a più riprese – una sua ampia retrospettiva alla Kunsthalle di Lund. Tale esposizione è poi ripetuta nel 1963 al Palais des Beaux Arts di Bruxelles.
Nel contempo, Bertini si avvia su sentieri che lo porteranno alla scoperta di altri spazi e dimensioni. Realizza una nuova serie intitolata “le Pays Réel”. Utilizzando un fondo formato da ritagli di giornale, foto e articoli di cronaca, francobolli, bandiere e altri oggetti d’uso quotidiano, giunge alla composizione del quadro mediante il collegamento grafico delle immagini.
Espone queste opere nel febbraio 1962 alla Galerie J di Parigi e, nel successivo giugno, alla Galleria Gritti di Venezia dove, due giorni dopo l’inaugurazione, la mostra è censurata per ordine del Prefetto che accoglie le proteste di alcuni benpensanti, offesi dalla “bertinizzazione” della bandiera.
Nel 1962 nasce a Parigi il figlio Thierry. L’anno dopo realizza nuove opere valendosi della tecnica del riporto fotografico su tela e, nel 1965, firma, con altri artisti che si esprimono con questo nuovo “medium” il manifesto della Mec-art, abbreviativo di mechanical-art; ovvero un’arte che sfrutta tutti i procedimenti fotografici per ottenere un’elaborazione meccanica di una nuova immagine riportata poi su tela o metallo su cui l’artista interviene pittoricamente. Nello stesso anno espone a Stoccolma, Amsterdam, Bruxelles e Milano.
Collabora alla rivista di poesia visuale “Ou”, fondata da Henri Chopin. Realizza il film “Energie du sommeil” con immagini di Serge Béguier e testi vocali di H. Chopin. Nel 1968 , anno di lotte operaie e manifestazioni studentesche, Bertini ha una sala alla XXXIV Biennale di Venezia, ma come a Milano viene bloccata l’attività della Triennale, a Venezia il vento della contestazione culturale costringe alla chiusura anche questa storica istituzione.
Nel 1969, tornato ad alternare i propri soggiorni parigini a quelli milanesi, fonda la rivista di comunicazioni visive “Mec”, della quale purtroppo usciranno solo due numeri.
Nominato commissario alla Biennale di Venezia del 1970, cura l’attuazione del “Laboratorio di ricerca” dove artisti come De Filippi, Stefanoni, Béguier, ed altri producono arte a diretto contatto con il pubblico, dimostrando le tecniche d’incisione e i meccanismi di riproduzione artistica.
Durante questi anni compie un viaggio di studio in Senegal e successivamente in America Latina, attraversandola da sud a nord. Soggiorna a Buenos Aires ed espone al CAYE.
Nel 1971 l’editore Giampaolo Prearo pubblica una monografia, a cura di Guido Ballo, sulla vicenda artistica di Bertini. Questo volume, di notevole importanza per contenuto e dimensioni, viene presentato, grazie alla complicità del gallerista Renzo Cortina, all’interno di un jumbo tram che, opportunamente allestito, percorre le vie di Milano. Nello stesso anno partecipa con i poeti Sarenco e Paul de Vree alla pubblicazione della rivista “Lotta poetica”, unico periodico dedicato alla poesia visiva.
Poeta, scrittore, scenografo e critico, Gianni Bertini è da sempre aperto ad esperienze apparentemente extra-pittoriche, ma in realtà profondamente collegate al comportamentismo dinamico, quali la veneziana “Lettura sul pozzo”; l’happening parigino di “Le strip-tease poétique”; lo spaesamento geografico del “Festival di Fort Boyard”, con i falsi annunci e le bugiarde recensioni; gli abiti eccentrici che ama inventare e indossare; i momenti teatrali immaginifici scaturiti dal felice incontro con François Dufrêne e Jean-Clarence Lambert.
Nel ripercorrere la lunga e proficua avventura della mec-art bertiniana è doveroso soffermarci sulle idee, strettamente correlate, che costituiscono l’essenza rivoluzionaria di quello che sarà ricordato come uno dei più importanti movimenti d’avanguardia degli anni ’60. La prima riguarda l’invenzione del riporto fotografico sulla tela emulsionata che consente di perfezionare il linguaggio del collage e di raggiungere maggiori libertà espressive. La seconda idea, che riflette la posizione democratica di Bertini sulla funzione sociale dell’arte, riguarda la moltiplicazione industriale dell’opera artistica e la sua diffusione commerciale.
Nel 1972 è invitato a Bratislava dall’amico Alex Mlynarcik, dove insieme propongono ‘l’Arte Anticoncezionale’. Nel frattempo in Italia espone a diverse riprese a Milano, oltre che a Genova, Venezia, Firenze e Roma.
Verso la metà degli anni settanta ha inizio il ciclo denominato “Abbaco” che, prendendo spunto nelle prime opere da una citazione della pittura classica, auspica un ritorno all’impegno pittorico. Queste opere, che rappresentano il lavoro di un quinquennio, sono presentate nel 1978-79 al Centro Annunciata di Milano. L’esperienza di “Abbaco” si prolunga nel tempo e in più esposizioni queste tele si confrontano con i “Gridi”. Il ciclo “Abbaco”, come il rovescio di una medaglia, succede e di oppone ai rituali consumistici del ciclo precedente e comunque lascia affiorare immagini di struggente bellezza, quasi a voler sussurrare speranze: il sorriso di un bimbo, il tenero abbraccio materno, l’intimità di un interno familiare.
Dall’incontro con lo scrittore comasco Eligio Cesana, nasce, nel 1979, un volume sulla Mec-art che contiene anche una testimonianza di Pierre Restany.
Con il maturarsi di “Abbaco” l’opera di Bertini si trasforma nuovamente; l’artista tende maggiormente a recuperare tutti i suoi stilemi. In questa fase inizia il periodo definito “Sintesi”, dove sintesi è intesa, non solo come riflessione critica delle esperienze passate, ma soprattutto come apertura dinamica verso quegli spazi della poetica bertiniana, dall’informale ragionato alla pittura-poesia, nei quali l’inserimento di parole estrapolate dal linguaggio dei media si accosta, nella fusione del riporto fotografico, ai toni acidi e profondi degli smalti.
La prima personale di quest’ultimo impegno ha luogo nel 1984 alla Galleria Fall di Parigi. Nell’occasione l’amico ed esegeta Pierre Restany annota che “con queste opere Bertini fa la propria autocritica e allo stesso tempo la propria auto-analisi”.
Nello stesso anno gli è consacrata una grande retrospettiva al Centre National des Arts Plastiques. L’anno successivo il Ministero della Pubblica Istruzione francese lo nomina ‘Chevalier dans l’Ordre des Arts et Lettres’. Nel 1988-89 compie alcuni viaggi in Oriente, esponendo nei Musei d’Arte Moderna di Seoul e Taiwan.
Sulle tele della fine degli anni ottanta, alle immagini massmediatiche si sostituiscono ombre e profili di personaggi anonimi, femminili e maschili, dispersi e proiettati in situazioni meccaniche o fondali di fatti reali.
A commento della guerra del Golfo, nel 1991 realizza il ciclo “Per non dimenticare”: è qui che trovano la loro massima espressione le ombre, stagliate sullo sfondo, di eventi e macchinari, ingranaggi ed elicotteri. Nel 1992 presenta un ciclo di dodici opere su Antonin Artaud. È nel 1997 che lancia il manifesto “La Retro-garde” in opposizione al dilagare di un’arte morta in vagina. Ai principi della Mec-Art si innesta un intenso ed approfondito apporto cromatico, che auspica la rinascita del mestiere di pittore.
Nel 1999 presenta a Parigi alla Galerie de L’Europe e a Milano alla Galleria del Naviglio una mostra intitolata La Retro-garde – La Retroguardia.
Nel 2000-2002 gli vengono tributati numerosi omaggi con mostre antologiche Gianni Bertini. Percorsi a Firenze (Centro d’arte Spaziotempo) e a Pisa (Palazzo Lanfranchi) e vengono pubblicate ben due importanti monografie.
Nel 2004 è presente a Milano con ben tre mostre: Dal MAC al Mec (Galleria Artrit_2006estudio) e Premesse non promesse (Spazio Annunciata) e soprattutto la retrospettiva L’écume du temps alla Fondazione Mudima, con catalogo a cura di Dominique Stella.
All’inizio del 2006 altre due importanti retrospettive alla Galleria Elleni di Bergamo e Immagini del tempo alla Galleria Colossi arte contemporanea di Chiari (Brescia).
A maggio la Civica Galleria d’Arte moderna di Gallarate organizza una manifestazione connessa all’attività svolta da Bertini negli anni che precedono il trasferimento a Parigi: Gianni Bertini:opere 1947-1953, corredata da una monografia a cura di L. Caramel ed E. Zanella.
Nel 2007 Bertini partecipa a numerose mostre collettive:
Nouvelle Figuration al Museo di Orleans e al Museo di Dole,
Pop art Italia a Modena,
Kandinsky e l’astrattismo in Italia 1930-1950 a Palazzo Reale di Milano
e mostre personali:
Milano anni ’60: Bertini ieri e oggi allo Spazio Annunciata di Milano,
Gianni Bertini Percorsi e ricorsi alla Galleria Poleschi Arte di Milano,
Gianni Bertini nella collezione Pepi in provincia di Pisa.
Gianni Bertini si è spento a Caen (Normandia) l’8 luglio 2010.
COLLABORAZIONE A RIVISTE
Nel 1951-52 è stato redattore per Milano della pubblicazione fiorentina “Numero”.
Nel 1964 a Parigi ha collaborato alla rivista “Ou” di Henri Chopin, della quale aveva suggerito il titolo.
Nel 1969 a Milano ha fondato e diretto la rivista di comunicazioni visive “Mec”.
Nel 1971 , con la collaborazione di Sarenco, ha diretto i primi 12 numeri della rivista di poesia visiva “Lotta poetica”.
Ha inoltre collaborato con:
“Esperienza moderna” Roma
“Il Gesto” e “Direzioni” Milano
“Gejger” Torino
“Documento Sud” Napoli
“Phases” , “Sens publique” , “K.W.Y.” , “Approches” Parigi
“Phantomas”, “Amenophis” , “Daily Bull” Bruxelles
“Rousseau life” Ginevra
“De tafel ronde” Anversa
“Vou” Tokyo
“Boa” Buenos Aires